Comportamenti discriminatori - art. 28 CGS - art. 2 dello Statuto FIGC – ratio – funzione preventiva e repressiva - nozione di comportamento discriminatorio – nozione coerente con quella adottata dagli organismi e dalle istituzioni internazionali
Tra i “principi fondamentali” previsti dall’art. 2 dello Statuto della FIGC, al quinto comma, è declinato il principio di non discriminazione, secondo cui «La FIGC promuove l’esclusione dal giuoco del calcio di ogni forma di discriminazione sociale, di razzismo, di xenofobia e di violenza». Trattasi di disposizione di principio, con finalità di ordine programmatico, che trova una compiuta realizzazione nell’art. 28 del codice di giustizia sportiva, che così dispone: «Costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori». La laconicità della disposizione - che si limita a qualificare come discriminatorio ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, rechi offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità o origine etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori - è il risultato lessicale di un difficile bilanciamento tra la necessità di evidenziare con inequivoca chiarezza i valori oggetto di tutela e l’opportunità di delineare una fattispecie tipica che si connoti per i caratteri della generalità e dell’astrattezza. Il legislatore, con la citata previsione, ha voluto imprimere alla disciplina delle competizioni calcistiche un regime di doppia tutela, vale a dire: in funzione preventiva, prevedendosi al comma 6 che prima dell’inizio della gara la società ospitante avverta il pubblico “delle sanzioni previste a carico della stessa società in conseguenza a comportamenti discriminatori posti in essere da parte dei sostenitori”, costituite dall’ammenda ai sensi dell’art. 8, comma 1 del codice di giustizia sportiva; in funzione repressiva di comportamenti che, in quanto discriminatori, determinino una compromissione della personalità dell’uomo come singolo e come soggetto di comunità, in entrambi i casi ledendosi un patrimonio di valori fondamentali per motivi di “razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica, condizione personale o sociale” o per condotte che siano in grado di concorrere al dilagare di una cultura contraria al bene protetto sotto forma di “propaganda ideologica”. In sintesi, traspare la volontà dell’ordinamento federale di contrastare e punire tutti i comportamenti discriminatori, di ogni genere e tipologia, volti a negare il diritto di ciascuno ad essere riconosciuto quale persona libera ed eguale, anche in attuazione del principio del mutuo rispetto, posto a base di ogni convivenza civile e democratica. La condotta discriminatoria, del resto, si sostanzia in ogni forma di discriminazione dei diritti fondamentali della persona, che non può non provocare una dura reazione da parte non solo dell'ordinamento giuridico generale, ma anche da parte di quello sportivo, anche alla luce degli inequivoci principi posti dalla Costituzione in materia (così, Corte federale d’appello Sezioni Unite C.U. n. 090//Cfa 2017/2018). In tale prospettiva, la nozione di comportamento discriminatorio elaborata dal legislatore federale risulta coerente ed in sintonia con quella adottata dagli organismi e dalle istituzioni internazionali. In particolare, il nostro Paese ha recepito la convenzione internazionale in tema di eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (Convenzione di New York del 1966), mentre, in ambito europeo, la CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, 1950) statuisce, all'art. 14: «Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione». Analogo il contenuto dell'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea (proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000) e degli artt. 2 e 7 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (proclamata il 10 dicembre 1948). Quanto allo specifico contesto normativo sportivo internazionale, la Carta olimpica statuisce l’incompatibilità con l’appartenenza al Movimento olimpico di qualsiasi forma di discriminazione verso un Paese o una persona, sia essa di natura razziale, religiosa, politica, di sesso o altro. E’, altresì, previsto che i Comitati Nazionali Olimpici si impegnano ad agire contro ogni forma di discriminazione e di violenza nello sport. La disciplina UEFA ha tra i suoi obiettivi quello della promozione del giuoco del calcio in uno spirito di pace, comprensione, fair play, senza alcuna discriminazione in materia politica, di genere, di religione, di razza o di ogni altra ragione. In particolare, la UEFA definisce discriminazione l’insulto alla dignità umana della persona o del gruppo, effettuato, con qualsiasi mezzo, per ragioni riferibili alla razza, al colore della pelle, alla religione, alle origini etniche o per ogni altra ragione. Nella medesima direzione si muovono lo statuto FIFA, ove è vietata la discriminazione di un paese, di un individuo o di un gruppo di persone, il codice etico FIFA, che dispone che le persone alle quali si applica il testo – ovvero i funzionari, i giocatori, gli agenti organizzatori degli incontri e gli agenti dei giocatori – non possono offendere la dignità o l’integrità di un paese di una persona o di un gruppo di persone mediante parole o azioni di disprezzo, discriminanti o denigratorie, ed il codice disciplinare FIFA, nella cui ultima edizione, sono state inasprite le pene in caso di insulti e comportamenti discriminatori all’interno degli stadi. Anche il CONI, infine, codifica il principio di non discriminazione, laddove impone a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo l’obbligo di astenersi da qualsiasi comportamento discriminatorio in relazione alla razza, all’origine etnica o territoriale, all’età, al sesso, alla religione, alle opinioni personali, anche politiche ed assume e promuove le opportune iniziative contro ogni forma di discriminazione e di violenza nello sport. In tale contesto, dunque, emerge che anche nell'ambito dell'ordinamento sportivo si è sentita l'esigenza di dare adeguata tutela alla dignità ed alla libertà di tutti e di ciascuno a prescindere dalla religione, dall’appartenenza etnica e territoriale, dal colore della pelle.
Stagione: 2021-2022
Numero: n. 105/CFA/2020-2021/A
Presidente: Torsello
Relatore: Varrone
Riferimenti normativi: art. 2 dello Statuto FIGC; art. 28 CGS