Mezzi di prova – principio del libero convincimento del giudice

Quanto alla c.d. “fede privilegiata”, l’art. 35 Codice di giustizia sportiva previgente (art. 61 Codice di giustizia sportiva in vigore) recita: “i rapporti dell’arbitro, degli assistenti, del quarto ufficiale e i relativi eventuali supplementi fanno piena prova circa il comportamento di tesserati in occasione dello svolgimento delle gare. Gli organi di giustizia sportiva possono utilizzare altresì ai fini di prova gli atti di indagine della Procura Federale”. Ebbene è evidente un indiretto richiamo agli artt. 2699 e 2700 CC e 476, comma 2 CP. Dunque il concetto di piena prova riguarda la valenza intrinseca del documento, con evidente riferimento al suo tenore letterale. Il che non significa affatto che ciò che il documento non rispecchia non possa essere realmente accaduto. In tal senso, d’altronde, è anche – ed esplicitamente – la giurisprudenza sportiva. È stato infatti ritenuto che ”dal tenore letterale della disposizione si evince che i rapporti dell’arbitro costituiscono piena prova del comportamento dei tesserati in occasione dello svolgimento delle gare e, dunque, si attribuisce agli stessi una fede privilegiata quanto a efficacia probatoria della ricostruzione dei fatti. Tuttavia, la stessa disposizione prosegue indicando la possibilità che l’Organo giudicante utilizzi ai fini probatori gli atti di indagine della Procura Federale. Dunque, la circostanza che il referto arbitrale abbia una fede privilegiata non consente di ritenere che l’Organo giudicante non debba tener conto di ulteriori mezzi di prova al fine di raggiungere il proprio convincimento su determinate circostanze” (cfr. Collegio di garanzia CONI, S.U., decisione 12/2019). Dunque: la fede privilegiata del documento non sta minimamente a significare lo svilimento delle altre fonti di prova; altrimenti nessun senso avrebbe la possibilità di utilizzare gli atti di indagine compiuti dalla Procura. Né si può sostenere che si sia voluta inserire una sorta di gerarchia tra le fonti di prova, quasi che nel procedimento disciplinare sportivo viga una qualche forma di regime di prova legale. L’evidente parallelismo tra il procedimento disciplinare e il procedimento penale (già sottolineato, sia pure con riferimento alla categoria professionale degli architetti, da Cass. civ., S.U., sent. 187 del 1997, nonché da Cass. civ., sez. 3, sent. 11135 del 1999), rende palese che supremo criterio di valutazione del materiale probatorio altro non può essere che quello del libero convincimento da parte del giudicante, il quale poi – come è ovvio – dovrà darne adeguata giustificazione nell’apparato motivazionale. Sia il procedimento penale che quello disciplinare, d’altra parte, hanno come evidente finalità quella dell’accertamento di un fatto concreto in relazione ad un’astratta pretesa punitiva. Si tratta, in sintesi di accertare: a) se un fatto si sia verificato, b) se esso sia riferibile all’incolpato, c) se esso sia previsto dal sistema sanzionatorio e in quale fattispecie astratta sia inquadrabile, d) quale sia, eventualmente, la sanzione giusta e proporzionata da applicare. Ora è evidente che un così articolato (e certamente non agevole) iter conoscitivo non può soffrire limitazioni e rigidità derivanti da un sistema di prova legale, vale a dire un sistema in cui l’attendibilità della prova non è rimessa alla valutazione (discrezionale, appunto) del giudicante, ma è predeterminata dal sistema stesso, secondo uno schema in base al quale il procedimento logico che porta dal dato probatorio al fatto da provare non è elaborato, di volta in volta, dal giudicante, ma stabilito, una volta per tutte, dal “produttore” della norma. Orbene, se tale premessa, come sembra inevitabile, è da ritenere fondata, ne consegue ulteriormente che chi è chiamato a ricostruire l’accaduto, non solo possa liberamente valutare le prove a sua disposizione, ma, d’altra parte, non possa (e non debba) considerare isolatamente i singoli episodi portati alla sua attenzione, ma debba (e possa) valutarli nel loro insieme, ricercandone, per così dire il significato, atteso che le azioni umane hanno – generalmente – una finalità, tendono ad uno scopo, perseguono un risultato. Dunque: non una valutazione atomistica, per così dire (Cass. pen. sez. 1, sent. 20461 del 2017, sez. 5, sent. 36152 del 2019 e numerose altre), ma una valutazione unitaria, la sola che possa far emergere “il senso dell’agire”.

 

Stagione: 2019-2020

Numero: n. 51/CFA/2019-2020/A

Presidente: Torsello

Relatore: Fumo

Riferimenti normativi: art. 61, comma 1 CGS; art. 35 CGS previgente; artt. 2699 e 2700 CC; art. 476, comma 2 CP

Articoli

1. I rapporti degli ufficiali di gara o del Commissario di campo e i relativi eventuali supplementi fanno piena prova circa i fatti accaduti e il comportamento di tesserati in occasione dello svolgimento delle gare. Gli organi di giustizia sportiva possono utilizzare, altresì, ai fini di prova gli atti di indagine della Procura federale.
2. Gli organi di giustizia sportiva hanno facoltà di utilizzare, quale mezzo di prova, al solo fine della irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti di tesserati, anche riprese televisive o altri filmati che offrano piena garanzia tecnica e documentale, qualora dimostrino che i documenti ufficiali indicano quale ammonito, espulso o allontanato un soggetto diverso dall’autore dell’infrazione.
3. Per le gare della Lega di Serie A e della Lega di Serie B, limitatamente ai fatti di condotta violenta o gravemente antisportiva o concernenti l’uso di espressione blasfema non visti dall’arbitro o dal VAR, con la conseguenza che l'arbitro non ha potuto prendere decisioni al riguardo, il Procuratore federale fa pervenire al Giudice sportivo nazionale riservata segnalazione entro le ore 16:00 del giorno feriale successivo a quello della gara. Entro lo stesso termine la società che ha preso parte alla gara e il suo tesserato direttamente interessato dai fatti sopra indicati, hanno facoltà di depositare presso l’ufficio del competente Giudice sportivo una richiesta per l’esame di filmati di documentata provenienza, che devono essere allegati alla richiesta stessa. La richiesta è gravata da un contributo di euro 100,00. L’inosservanza del termine o di una delle modalità prescritte determina l’inammissibilità della segnalazione o della richiesta. Con le stesse modalità e termini, la società e il tesserato possono richiedere al Giudice sportivo nazionale l’esame di filmati da loro depositati al fine di dimostrare che il tesserato medesimo non ha in alcun modo commesso il fatto di condotta violenta o gravemente antisportiva o concernente l’uso di espressione blasfema sanzionato dall’arbitro. In tal caso le immagini televisive possono essere utilizzate come prova di condotta gravemente antisportiva commessa da altri tesserati.
4. Costituiscono condotte gravemente antisportive ai fini della presente disposizione:
a) la evidente simulazione da cui scaturisce l’assegnazione del calcio di rigore a favore della squadra del calciatore che ha simulato;
b) la evidente simulazione che determina la espulsione diretta del calciatore avversario;
c) la realizzazione di una rete colpendo volontariamente il pallone con la mano;
d) l’impedire la realizzazione di una rete colpendo volontariamente il pallone con la mano.
5. In tutti i casi previsti dai commi 3 e 4, il Giudice sportivo nazionale può adottare, a soli fini disciplinari nei confronti dei tesserati, provvedimenti sanzionatori avvalendosi di immagini che offrano piena garanzia tecnica e documentale.
6. Le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 si applicano anche alle gare della Lega Pro, della LND e del Settore per l’attività giovanile e scolastica, limitatamente ai fatti di condotta violenta o concernenti l’uso di espressione blasfema; la segnalazione, oltre che dal Procuratore federale, può essere effettuata anche, se designato, dal commissario di campo.
7. Le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 si applicano ai tesserati anche per fatti avvenuti all’interno dell’impianto di gioco.

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