Processo sportivo in genere - questione di legittimità costituzionale – inammissibilità

Secondo l’articolo 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie di indipendenza della Corte costituzionale), “La questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica rilevata d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione”. In modo ancora più chiaro l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 stabilisce che “Nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale una delle parti o il pubblico ministero possono sollevare questione di legittimità costituzionale mediante apposita istanza, indicando: a) le disposizioni della legge o dell’atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, viziate da illegittimità costituzionale; b) le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali, che si assumono violate.” Ne deriva che la questione di costituzionalità in via incidentale può essere proposta unicamente: - da un’autorità giurisdizionale; - nei riguardi di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione. Sono carenti entrambi i presupposti indispensabili per il rinvio alla Corte costituzionale. Infatti, questa Corte Federale non può qualificarsi come “autorità giurisdizionale”, poiché le sue decisioni sono riferite al contesto dell’ordinamento sportivo, ferma restando la loro impugnabilità dinanzi all’Autorità giurisdizionale statale, là dove previsto. Al riguardo, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha individuato con chiarezza la nozione di “autorità giurisdizionale”, abilitata a promuovere la questione incidentale di legittimità costituzionale. Fra le decisioni più recenti si può vedere la sentenza 31 gennaio 2019, n. 13, secondo la quale, ai sensi degli artt. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e 23 della legge n. 87 del 1953, le nozioni di "giudice" e di "giudizio" sono state intese dalla giurisprudenza costituzionale in modo elastico tutte le volte che il rimettente si collocava istituzionalmente in una "zona grigia" tra le categorie dell'amministrazione e della giurisdizione, e ciò per consentire il promovimento del giudizio incidentale di costituzionalità pur in presenza di aspetti di volta in volta soggettivamente o oggettivamente di difficile riconduzione a generali e predeterminati schemi concettuali. In particolare, si è ritenuto che i preminenti interessi pubblici della certezza del diritto e dell'osservanza della Costituzione impediscano di trarre dalla distinzione - sovente incerta - tra le varie categorie di giudizi e processi conseguenze così gravi come l'esclusione del giudizio incidentale. L'affermazione piena del principio di costituzionalità ha richiesto l'allargamento dei concetti di giudice o di giudizio anche in presenza di mere zone "d'ombra", allo scopo di ammettere allo scrutinio della Corte costituzionale leggi che, per altra via, verrebbero ad essa più difficilmente sottoposte; e ha comportato altresì l'utilizzazione delle categorie del giudice e del giudizio "ai limitati fini " o "ai soli fini" della legittimazione a promuovere incidenti di costituzionalità, così implicitamente ammettendo che esse possano differire da quelle valide a fini diversi o più generali. In tale prospettiva, la giurisprudenza costituzionale è giunta ad affermare che, per aversi giudizio a quo, è sufficiente che esista esercizio di funzioni giudicanti per l'obiettiva applicazione della legge da parte di soggetti, pure estranei all'organizzazione della giurisdizione, posti in posizione super partes. Peraltro, il rischio di un aggiramento del divieto di istituzione di nuovi giudici speciali, posto dall'art. 102, secondo comma, Cost., ha costituito argomento decisivo per negare nei casi dubbi la natura giurisdizionale - e conseguentemente la legittimazione - di organi creati dopo l'entrata in vigore della Costituzione. Non è dubitabile che, nell’attuale contesto, la posizione strutturale degli organi di giustizia sportiva sia caratterizzata dai requisiti della terzietà e della imparzialità, ma tale carattere riguarda la sola dimensione dell’ordinamento sportivo, poiché, altrimenti, tali organi dovrebbero qualificarsi come nuovi giudici speciali, istituiti in violazione dell’art. 102 della Costituzione. La manifesta inammissibilità della questione riguarda anche il profilo relativo al rango non legislativo delle disposizioni che il reclamante sospetta di illegittimità costituzionale. Queste, infatti, sono collocate all’interno del Codice di giustizia sportiva del CONI, che costituisce, all’evidenza, un atto non qualificabile come legge o atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione. Si tratta, quindi, di una fonte normativa che, anche prescindendo dalla sua collocazione all’interno del sistema ordinamentale sportivo, non ha certamente il rango degli atti aventi forza di legge, statale o regionale. Il Collegio non ignora che una parte della dottrina, prendendo spunto da alcune peculiari decisioni della Corte costituzionale, sostenga la necessità di ampliare l’oggetto del sindacato di costituzionalità anche a determinate fonti subprimarie, quali i “regolamenti indipendenti” o i regolamenti che “integrano” le disposizioni di legge, attraverso la tecnica del “rinvio”. Tuttavia, la giurisprudenza più recente della Corte costituzionale è orientata in senso rigoroso e coerente, circoscrivendo l’oggetto del giudizio di costituzionalità alle sole fonti legislative. In ogni caso, anche una nozione estesa di “atto avente forza di legge” non potrebbe mai comprendere al suo interno le norme dell’ordinamento sportivo formate dagli organi del CONI e delle Federazioni. Non va trascurato, poi, l’ulteriore argomento secondo cui le norme non aventi forza di legge, che il ricorrente assume contrastanti con la Costituzione, sono contestabili davanti ad organi giustiziali. Ed è questo il caso delle disposizioni del Codice della giustizia sportiva del CONI, che sono impugnabili davanti al Collegio di Garanzia del CONI, in presenza dei necessari presupposti, anche in relazione al lamentato contrasto con i principi generali in materia di tutela del diritto di difesa.

Stagione: 2020-2021

Numero: n. 62/CFA/2020-2021/B

Presidente: Torsello

Relatore: Lipari

Riferimenti normativi: art. 44 CGS;

Articoli

1. Il processo sportivo attua i principi del diritto di difesa, della parità delle parti, del contraddittorio e gli altri principi del giusto processo.
2. I giudici e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo nell’interesse del regolare svolgimento delle competizioni sportive e dell’ordinato andamento dell’attività federale.
3. La decisione del giudice è motivata e pubblica.
4. Il giudice e le parti redigono i provvedimenti e gli atti in maniera chiara e sintetica. I vizi formali che non comportino la violazione dei principi di cui al presente articolo non costituiscono causa di invalidità dell’atto.
5. Tutte le sanzioni inflitte dagli organi di giustizia sportiva devono avere carattere di effettività e di afflittività.
6. Tutti i termini previsti dal Codice, salvo che non sia diversamente indicato dal Codice stesso, sono perentori.

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