La ‘Hall of Fame’ accoglie ‘Spillo’ Altobelli: “Da Sonnino al Bernabeu, così sono arrivato sul tetto del Mondo”
Il sesto marcatore nella storia della Nazionale si racconta, dagli esordi con la Spes Sonnino (“Nel mio Paese non c’era un campo da calcio, iniziai a giocare nella squadra messa in piedi dal barbiere”) al trionfo nel Mundial ’82: “A Paolo Rossi dicevo ‘stai tranquillo, vedrai che il gol arriverà’”giovedì 27 aprile 2023
Un filo conduttore lega il Mundial di Spagna ’82 alla ‘Hall of Fame del Calcio Italiano’, che con l’ingresso di Alessandro Altobelli va ad accogliere un altro dei protagonisti di quell’indimenticabile Mondiale. Da Bergomi a Cabrini, da Tardelli a Paolo Rossi, passando per Zoff, Antognoni, Oriali ed Enzo Bearzot, ‘Spillo’ ritrova tanti compagni dell’avventura più emozionante della sua carriera: “Ricevere questo premio – esordisce – è una bella sorpresa e una grande soddisfazione. Non è da tutti entrare a far parte della storia del calcio italiano, servono sacrifici e bisogna farsi trovare pronti nei momenti cruciali. Devo ringraziare tutti i compagni di squadra dell’Inter e tutti i grandi campioni con cui ho avuto la fortuna di giocare in Nazionale”.
Al sesto posto dei cannonieri azzurri di tutti i tempi in compagnia di Adolfo Baloncieri e Filippo Inzaghi, delle 25 reti realizzate in Nazionale (“ma in realtà sono 28, in Messico prima del Mondiale segnai una tripletta contro il Guadalajara, solo che non fu considerata una gara ufficiale…”) ce ne è una che ogni italiano dai cinquant’anni in su non può dimenticare. E’ il terzo gol nella finalissima con la Germania, quello della definitiva presa di coscienza che di lì a poco l’Italia avrebbe alzato al cielo la sua terza Coppa del Mondo. E pensare che quella partita Altobelli l’aveva iniziata dalla panchina, poi l’infortunio occorso a Graziani nei primi minuti di gioco lo catapultò in un attimo sul campo del Santiago Bernabeu: “Avevo giocato una ventina di minuti anche in semifinale perché Ciccio si era fatto male – ricorda – quando ho visto che in finale è caduto a terra e si teneva la spalla mi sono immediatamente tolto la tuta, non ho dato a Bearzot nemmeno il tempo di ragionare. Cercavo quel gol, ero sicuro dei miei mezzi ed ero in forma. Quando ho segnato ho solo pensato che avevamo chiuso la partita, che come disse Pertini in tribuna ormai non ci avrebbero preso più. Solo più tardi, a mente fredda, ho realizzato davvero cosa avevo fatto, anzi cosa avevamo fatto”.
Parla al plurale Altobelli, perché in quella Nazionale l’amicizia veniva prima di tutto, anche di una rivalità per una maglia da titolare che di fatto non è mai esistita: “Nelle prime partite, quando non riusciva a segnare, tutti attaccavano Paolo (Rossi, ndr). Io sapevo che non avrei mai giocato perché Bearzot era calcisticamente innamorato di lui. Gli dicevo ‘Paolo, stai tranquillo, vedrai che il gol arriverà’. Ne sono arrivati tre tutti insieme e non si è più fermato. Ci ha fatto vincere il Mondiale, dando ragione a Bearzot e a noi compagni di squadra, che lo abbiamo aiutato in tutti i modi”.
Ma è riduttivo legare la lunga storia d’amore tra Altobelli e la Nazionale solamente al Mundial ’82. Affacciatosi in azzurro nel Campionato Europeo del 1980, per otto volte capitano tra il 1986 e il 1987, nel Mondiale di Messico ’86 ‘Spillo’ segnò quattro delle cinque reti realizzate dall’Italia, eliminata agli ottavi di finale dalla Francia di un certo Michel Platini: “La Francia era una gran bella squadra, ma anche noi eravamo forti. Quello era il mio Mondiale, ci arrivavo da titolare dopo un grande campionato. Segnai subito all’esordio con la Bulgaria, poi ancora su rigore contro l’Argentina di Maradona e nella terza partita feci altri due gol con la Corea del Sud, oggi sarebbero stati tre perché avrebbero probabilmente assegnato a me quella che allora fu considerata un’autorete. Lineker vinse il titolo di capocannoniere con sei gol, chissà se fossimo andati avanti quanti ne avrei potuti segnare…”.
Centravanti completo, dotato di un’ottima tecnica di base e forte nel gioco aereo, ha sempre avuto un particolare feeling con la porta, pur non riuscendo mai a vincere la classifica dei marcatori della Serie A. Il suo nome è legato indissolubilmente all’Inter, dove tra il 1977 e il 1988 ha collezionato 466 presenze, realizzando ben 209 reti e vincendo uno Scudetto e due Coppe Italia: “Dopo il secondo anno a Brescia mi volevano tutti: Milan, Juventus, Inter. La fortuna volle che il presidente del Brescia era Francesco Saleri, tifosissimo dell’Inter. Fu lui ad accompagnarmi a Milano per la firma”.
E pensare che ‘Spillo’, soprannominato così da un maestro elementare che assistendo agli allenamenti delle giovanili del Latina aveva notato quel ragazzo tanto magro quanto letale sotto porta, stava per intraprendere una strada molto diversa: “Terminata la scuola media, mio padre mi disse che era arrivato il momento di imparare un mestiere. E così mi mandò da un suo amico che faceva il macellaio. Diventai presto bravo, con la carne ci sapevo fare”. Ed è a questo punto della storia che entra in scena Gaspare Ventre, barbiere di Sonnino, piccolo centro di settemila abitanti in provincia di Latina dove Altobelli è nato e cresciuto: “Fu lui a mettere in piedi la Spes, la squadra del paese. Appena potevo scappavo via dalla macelleria per andarmi ad allenare. Ai bambini che iniziano a giocare dico sempre che se sono riuscito a diventare campione del mondo io, cresciuto in un paese dove non c’era neppure il campo del calcio, possono riuscirci anche loro”.
Quel ragazzino che ogni domenica segna almeno quattro o cinque gol inizia a richiamare l’attenzione degli addetti ai lavori: “I più bravi della squadra eravamo io e Giovanni ‘Giannino’ Bernardini. Un giorno un signore di nome Nando viene al campo per farci firmare un foglio, vuole che andiamo a giocare con il Latina. Non firmo perché a Latina c’è un’azienda, la Fulgorcavi, che ha la sua squadra di calcio. Se mi chiamano, penso, posso giocare e allo stesso tempo avere un lavoro assicurato. Nando però torna una seconda, poi una terza volta e insieme a quel foglio mi mette sotto agli occhi una banconota da cinquantamila lire. A quei tempi impiegavo una settimana per guadagnare cinquecento lire, mi sembrava una somma incredibile. E così ho firmato ed è stata la mia fortuna”. E Giovanni ‘Giannino’ Bernardini? “Lui poi ha fatto altro, adesso ha un B&B a Sonnino. Quando torno al Paese ci vediamo, ogni tanto riparliamo dei vecchi tempi”.
Da Latina passa un altro treno, direzione Emilia Romagna: “Vado a Cesena a fare un provino. Organizzano un’amichevole, segno e mi metto in luce. Quando sto rientrando a casa mi chiamano per dirmi che mi ha acquistato il Brescia. Pochi giorni prima c’è stato l’attentato in Piazza della Loggia, mia madre non vuole che parta, dice che è pericoloso. La rassicuro, le dico di non avere paura. Che devo soltanto pensare a giocare a calcio”.
Arrivano l’Inter, la Nazionale e la gioia più grande, quella Coppa del Mondo che ogni bambino sogna di alzare al cielo. Altobelli si conferma bomber di razza, uno dei migliori in circolazione. Ma la concorrenza è tanta: “C’era l’imbarazzo della scelta, basti pensare che uno come Pruzzo non veniva convocato in Nazionale. Dovevo vedermela con Rossi, Graziani, Pulici, Virdis: mamma mia quanti ce ne erano in Italia di attaccanti forti!”. E adesso dove sono finiti? “Il calcio è cambiato. Una volta le ali e i fantasisti giocavano in funzione dell’attaccante. Oggi non c’è più nessuno che fa un assist, l’attaccante non ha più aiuti”. Dalla solitudine dei numeri primi alla solitudine dei numeri nove: “La maggior parte dei gol vengono dalle fasce, se non ci sono giocatori bravi lì ne risente anche chi deve buttare il pallone in porta”.
I ricordi sono affollati di campioni: “Ho giocato con Maradona, Platini, Falcao, Boniek, Junior. Ogni tanto sfoglio gli album Panini degli anni Ottanta e torno a quei tempi. Che tempi! Il compagno più forte che ho avuto è stato Beccalossi, era un genio del calcio. Ed è incredibile che non sia mai stato convocato in Nazionale. I difensori più difficili da superare Gentile e Vierchowod. Quanto dovevo affrontare Pietro dormivo poco la notte, ma per lui era lo stesso”. Difficile trovare qualche somiglianza con gli attaccanti di oggi: “È un’epoca diversa, faccio fatica a fare dei confronti. Lautaro Martinez e Lukaku? Diciamo che ero un buon mix di tutti e due. Ero veloce, calciavo bene con entrambi i piedi e di testa dicevo la mia. Non ero un fenomeno, ma sapevo fare tutto”. Nel presente di Altobelli c’è quell’Inter che ha rappresentato tanto del suo passato di calciatore. Un’Inter dalle due facce, che vola in Champions e cade spesso in campionato: “Nelle gare da dentro o fuori l’Inter è più forte, quando c’è un obiettivo di lunga durata fatica. E poi dice tutto la canzone, ‘Pazza Inter amala’!. È una squadra che può battere qualunque avversaria e che non vince facilmente nemmeno con l’ultima in classifica. Un po’ ci assomigliamo, forse non è un caso che ci siamo sposati…”.
Nelle foto: 1) Il terzo gol realizzato da Altobelli nella finale con la Germania 2) Gli Azzurri portano in trionfo Enzo Bearzot dopo la vittoria nel Mundial 3) La maglia numero 18 indossata da Altobelli a Spagna '82 custodita presso il Museo del Calcio