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26 giugno 2018
venerdì 11 luglio 2014
Uno degli uomini simbolo della terza Coppa del Mondo vinta dall'Italia è stato senza ombra di dubbio Paolo Rossi, capocannoniere del torneo e vincitore del Pallone d'Oro nel 1982. Abbiamo intervistato "Pablito" a trentadue anni esatti dalla finale vittoriosa con la Germania.
Cosa le rimane del Mondiale del 1982 dopo 32 anni?
Quella Coppa del Mondo è stata unica, irripetibile sotto tutti i punti di vista. Più passa il tempo e più la si mitizza. E' arrivata in un momento memorabile per l'Italia anche dal punto di vista sociologico, dato che il Paese esprimeva personaggi insostituibili come Pertini e Bearzot, uomini di grande moralità e carattere. E' stata forse l'ultima manifestazione popolare, dove gli italiani si sono riversati nelle piazze e nelle strade in maniera genuina e sentita per festeggiare una vittoria che, per questi versi, credo abbia lasciato più traccia rispetto a quella del 2006… anche se io, ovviamente, sono di parte.
Se i suoi ricordi fossero fotografie, quali sarebbero le tre immagini rappresentative di quella Coppa del Mondo?
Direi la partita vinta con il Brasile che per me è stata la gara del secolo, a livello emozionale fino all'ultimo secondo, con giocatori straordinari. Sicuramente la partita più importante della mia carriera. Poi la finale con la Germania, dove ho messo a segno il primo gol, quello che forse più mi rappresenta. Infine, ma non per ordine di importanza, direi i tricolori che sventolavano al Santiago Bernabeu. In quell'occasione mi sono sentito veramente di rappresentare tutti gli italiani. Era bello sapere di avere reso felici milioni di persone… tanto più per uno come me che ha sempre indossato la maglia azzurra con patriottismo, sentendone l'importanza e il peso delle responsabilità da tutti i punti di vista, anche da quello comportamentale. Alla Nazionale non si può dire di no. E' il massimo traguardo per un giocatore, io ci sarei andato anche su una gamba sola.
C'è un aneddoto a cui è particolarmente legato?
Tutte le volte penso a Bearzot, in assoluto il migliore allenatore della storia della Nazionale. Un uomo onesto, retto, dai valori importanti. Ci trattava come figli, senza preferenze o distinzioni. Un personaggio particolare che una volta ti dava una carezza, la volta dopo ti bastonava. Ma anche per questo tutti gli volevamo bene. Con lui si discuteva a 360 gradi. Mi ricordo che la sera entrava nelle nostre camere per scambiare due chiacchiere. Con me, ad esempio, parlava di quadri, perché sapeva che ero appassionato d'arte...
A proposito d'arte, se Baggio è stato paragonato a Raffaello e Del Piero a Pinturicchio, lei a quale pittore si sente più vicino?
Forse a Picasso, anche se io sono stato soprannominato soltanto "Pablito", un nomignolo a cui sono affezionato, anche perché è in lingua spagnola, la lingua dei paesi che hanno ospitato i Mondiali in cui ho giocato io: Argentina '78, Spagna '82 e Messico '86.
Come ci si svagava o si trascorrevano le ore di tempo libero nel 1982, quando non c'erano cellulari, videogame o lettori Mp3?
Ascoltavamo la musica in camera, guardavamo i film la sera, giocavano a carte. Si stava molto insieme a parlare, seduti in circolo e legando molto tra di noi. Quando invece c'era da concentrarsi eravamo più riservati, stavamo per conto nostro e difficilmente si scherzava prima delle partite. Durante il Mondiale c'era una tensione talmente alta e forte che semmai pensavamo più a stemperare il clima…
Come ha trascorso la notte prima della finale contro la Germania?
Non ho dormito molto, benché io fossi solito farlo. Ero un tipo sereno da questo punto di vista, a differenza di altri compagni come Tardelli, Oriali o Conti che per carattere dormivano pochissimo. Quella notte per me andò diversamente. C'era la finale, un'occasione unica da sfruttare, quindi stetti sveglio a pensare a come avrei dovuto muovermi in campo… anche se, in quel momento, avevamo tali forza, determinazione e convinzione che avremmo potuto "asfaltare" chiunque. In quegli istanti ti senti forte, anche se sai che c'è comunque un avversario da battere sul campo e da affrontare con umiltà e rispetto.
Eravate scaramantici prima di entrare in campo?
Alcuni di noi lo erano, specialmente nel riscaldamento: ogni volta eseguivano esercizi in ordine ripetitivo. Io avevo l'abitudine di entrare in campo sempre con il piede destro prima del sinistro... Durante il Mondiale, prima della gara con il Brasile, indossai una catenina regalatami da un amico come portafortuna, visto che non avevo ancora segnato. Era una catenina bianca e rossa, che il mio amico comprò sulla spiaggia di Barcellona per poche lire; la indossai, segnai tre gol e non me la tolsi più fino alla vittoria finale. La conservo ancora a casa...
Paolo Rossi è nella lista FIFA dei 125 campioni più forti della storia del calcio. Chi potrebbe essere degno di entrarvi tra i partecipanti a questo Mondiale?
Per l'Italia Buffon e Pirlo. Poi direi Messi, Neymar e forse Robben. Della Germania sicuramente Müller, un giocatore straordinario, atletico e continuo, troppo poco considerato. Mi piacerebbe invece rivedere in futuro James Rodriguez che ha sorpreso tutti per bravura...
Una delle sue caratteristiche principali era il "fiuto del gol". E' una dote innata o è possibile apprenderla o migliorarla?
E' difficile insegnare a fare certe cose. Sono spinte da un istinto naturale, una vocazione particolare. L'80% è talento, il 20% è migliorabile con osservazione, allenamento e studio… Tuttavia certi movimenti li hai o non li hai. Il "fiuto del gol" è intuizione, rapidità e scaltrezza… Ci sono alcuni calciatori che segnano sfruttando la prestanza fisica; io, che non possedevo tale dote, cercavo di giocare di smarcamento, rubare il tempo, il metro, il mezzo secondo all'avversario. Inoltre i gol necessitano di freddezza, non bisogno tremare davanti al portiere o avere paura di sbagliare.