La chat della DAD diventa uno stadio virtuale per tifare la Nazionale
L'insegnante Antonella racconta l'Europeo degli Azzurri e di come ha scoperto che il calcio è una perfetta metafora di vitavenerdì 13 agosto 2021
Pubblichiamo il racconto di Antonella Agresti, insegnante e giornalista pubblicista di 35 anni che vive a San Mango Cilento.
In casa mia "calcio" ha sempre fatto rima solo e soltanto con "Nazionale". Non essendo mio padre un appassionato, io e mia sorella non siamo cresciute in mezzo a schemi e formazioni, ma gli appuntamenti degli Azzurri li abbiamo sempre seguiti con una certa ritualità.
Mi sono predisposta a seguire anche questo Europeo - quindi - rigorosamente da casa come scaramanzia vuole ormai da decenni. E ho avuto da subito la sensazione che ci fosse qualcosa di speciale nell'aria. A cominciare dal tricolore in bella mostra sul balcone: questa volta era quello che a marzo 2020 avevo messo fuori durante il lockdown. Un tricolore vissuto, per così dire, che portava ancora i segni di quello che ci era passato addosso e che, seppur sbiaditamente, ci ricordava il popolare "andrà tutto bene". Profezia azzeccata... almeno calcisticamente.
La sera dell'11 giugno, poi, quel Canto è stato degli Italiani come non mai: era la prima volta, dopo averlo cantato sui balconi, che ci si ritrovava insieme uniti, ma non più distanti.
Improvvisamente mi sono sorpresa a scoprire il calcio come metafora della vita; di ciò che dovrebbe essere e di ciò che invece non dovrebbe: dai tifosi delle due squadre avversarie che gridavano insieme "Christian Eriksen!", a Insigne che sfoggiava davanti alla telecamera la maglia di Spinazzola; dagli Inglesi che fischiavano l'inno e si sfilavano la medaglia del secondo posto, all'abbraccio tra Vialli e Mancini.
Qualsiasi gesto, atletico e non, si è caricato in questa edizione di significato e pathos particolari, probabilmente perché venivamo fuori da un momento di smarrimento collettivo ed eravamo disperatamente in cerca di emozioni finalmente positive. È stato perciò bellissimo rendersi conto che le "notti magiche" erano tornate a prendersi il posto del coprifuoco.
Per la finale a casa ci siamo regalati addirittura una nuova tv: più bella e più grande, come a voler vedere meglio immagini che - in fondo sapevamo - ci sarebbero rimaste a lungo negli occhi e nel cuore. Da insegnante, mi hanno emozionato gli alunni che l'11 luglio si sono ricordati dei gruppi di Whatsapp che usavamo nei mesi dell'odiata DaD, trasformandoli in spalti e spogliatoi virtuali in cui abbiamo sofferto, tifato e gioito insieme.
E dunque "è tornata a casa" quella coppa che sa un po' di vaso di Pandora: dentro c'è tutto l'orgoglio di sentirsi squadra, gruppo, famiglia, Nazione. E sul fondo lasciamo esattamente la speranza, quella che non deve morire, se non per ultima, e che ci ricorda "andrà tutto bene."
Grazie Ragazzi.
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