La Gazzetta dello Sport

Il racconto della gara da La Gazzetta dello Sport dell’11 giugno 1968 attraverso l’editoriale di Gualtiero Zanetti

L’Editoriale di Gualtiero Zanetti

2-0 e grande calcio

La nazionale di calcio italiana, contro ogni generale previsione, ha conquistato questa sera all’Olimpico di Roma nel corso della ripetizione della seconda finale, il primo posto del Campionato d’Europa 1968.

Il successo della squadra italiana è stato ampiamente meritato per quanto le quattro finaliste hanno prodotto in questa fase conclusiva del campionato anche se, forse, non ancora pienamente rispondente a quelli che sono i valori accertati del calcio continentale. Così come nel corso della prima finale avevamo denunciato molte battute d’arresto che ci avevano fatto ritenere forse immeritato il pareggio ottenuto, questa sera la Jugoslavia è stata sempre controllata, chiusa nella sua difesa al momento giusto ed il risultato non è stato mai in dubbio. Ma ciò che più porta è lo avere finalmente conseguito un traguardo di alto valore tecnico su concorrenti più di noi qualificati, portando la squadra al suo miglior rendimento agonistico nell’istante giusto.

E’, di conseguenza, opportuno, secondo il nostro avviso, in questa occasione ricordare la bontà della nostra organizzazione federale che poté validamente sostenere la sua candidatura ad ospitare questa manifestazione.

Poi la giustezza della decisione per la quale si imposero le sedici squadre, cosicché a questo importante maggio non abbiamo portato giocatori stremati ed infine la serietà e l’impegno di tutti gli azzurri.

La vittoria italiana è stata procurata per prima da una formazione fatta – si è detto – o per vincere o per perdere, come se andando in campo con l’intenzione di attaccare significasse andare invariabilmente incontro ad una sconfitta.

Dobbiamo ricordare che si è trattato, forse per la prima volta in vent’anni, di una squadra composta di uomini-gol per almeno i quattro quinti e che quando essa fu suggerita, fu accolta con molto scetticismo. Era la squadra che si sarebbe dovuta far giocare nella prima finale contro la Jugoslavia ed alla quale si rinunciò perché forse aveva vinto la suggestione di lasciar fuori un uomo dal nome di Mazzola. C’erano troppi mezzi attaccanti in quella squadra e quando diciamo mezzi attaccanti vogliamo dire scarsi tiratori a rete, sia per posizione naturale sul terreno sia per qualità personali. Si attaccava allora con una punta e mezzo e quando fu proposta una punta in più (Anastasi e Mazzola insieme) fu risposto che non si poteva comporre un attacco con quattro punte: cioè una punta e mezzo più un'altra faceva quattro.

Non si riesce a far capire da noi che uno dei modi per non essere attaccati è attaccare e se si è attaccati troppo a lungo, va a finire che un gol si incassa sempre.

Anche molta parte del pubblico stasera ha dato a vedere di pensarla in questa maniera se di fronte ad un Mazzola che faceva il vero interno (ma che in area a tempo debito ci sarebbe saputo stare e bene) la gente urlava: “Mazzola, avanti” perché si ricordava l’intervista sempre punta avanzata, dimenticando che là c’era già Anastasi.

I centrocampisti sono utilissimi, ma quando non sanno tirare a rete, bisogna anche decidersi a ridurre il loro numero. Questa sera si è visto come potrà essere la nostra Nazionale il giorno in cui Mazzola avrà imparato a fare l’interno ed Anastasi a dosare meglio la sua forza. Domenghini è l’unico centro­campista nostro che sappia anche tirare a rete, quindi non va preso a modello. Se prendiamo anche atto che la sfortuna ci ha vol­tato le spalle: dovevamo per­dere la prima finale, affron­tata con la formazione sba­gliata (come detto prima di quella vigilia) ed abbiamo dominato la seconda finale con la squadra esatta.

Una squadra che in defini­tiva rispondeva a criteri cal­cistici logici al punto che an­cora adesso ci chiediamo, co­me mai si sia pensato che fosse una eresia comporre quell'attacco. È bastato dire a De Sisti di fare quello che sa fare, idem a Riva, Anastasi e Domenghini ed aggiungere la variazione di imporre a Mazzola di cominciare a di­ventare interno, come è ac­caduto a tutti i grandi cen­travanti del passato, che ad un certo punto della loro car­riera hanno emigrato In altre zone meno affollate, da Meazza a Piola.

Dove i nostri tecnici han­no ben visto, è stato nel so­stituire il maggior numero di uomini possibili — cinque — mentre la Jugoslavia, a no­stro avviso, ha commesso un grave errore di presunzione pensando di poter ripetere, a sole 48 ore di distanza, una prestazione a cosi alto livello agonistico come è stata quel­la di sabato scorso. Un solo cambiamento e per giunta un'ala, non un elemento di fatica. Ed infatti proprio a centrocampo, la Jugoslavia non aveva più la lucidità giusta.

E quanto la fatica conti, in siffatte competizioni bre­vi, lo ha fatto notare pro­prio Domenighini che ci ave­va sistemato per il giusto verso nel primo incontro e che questa sera ha giostrato non con il rendimento di Napoli e di sabato scorso. Con uomini nuovi o resi esperti dal primo incontro, tutto si e risolto stupendamente: Burgnich una volta ben conosciuto l’asso Dzajic gli ha preso le misure sul punto di non farlo notare e con gli jugoslavi che ripete­vano Il nostro errore del pri­mo incontro, cioè di non at­taccare in massa, la difesa az­zurra ha finito per impedire a Zoff di esibirsi e di esibir­si come avrebbe voluto, cioè al pari dei suoi compagni.

Al centro campo, proprio con Mazzola, che soccorreva Domenghini e con De Sisti diligente nel suo consueto lavoro di cucitura, l’Italia ha trovato modo di partire in attacco con tre punte giuste ed a volte di andare a rete anche con 6 o 7 uomini. Il che significa che si era tro­vato nel complesso un tale tono di adesione che consen­tiva ad avere sempre a disposizione due ali, un centro avanti e due interni di ruolo.

La manovra azzurra era fortunatamente ispirata dallo schieramento offensivo jugoslavo che prevedeva due punte — Hosic e Dzajic — il libero ed ali e centravanti molto arretrati.

Proprio siffatti arretra­menti ci consentivano dl avere a centrocampo a tratti Burgnich e Facchetti a so­stenere da vicino l’azione di propulsione di De Sisti e Mazzola ai quali, per lunghe parentesi, cioè quando erano gli Jugoslavi a governare la palla, si aggiungeva anche Domenghlni.

Quando gli azzurri partiva­no in profondità, lo facevano sempre in tre direzioni, fat­to per noi inconsueto — cioè su Anastasi, su Riva e su Domenghini — per non dire in quattro quando ad essi si aggiungeva anche Mazzola. Infilati da tante parti e subito in svantaggio, gli Jugoslavi i hanno perso per intero la loro sicurezza rivelando dl non essere più convinti della loro forza.

Hanno reagito male, cioè coprendosi di più, oltre il do­vuto, cioè molto oltre la no­stra linea difensiva che in tal modo non veniva mai at­taccata dl sorpresa, bensì con avanzamenti lenti, fatti di molti passaggi corti latera­li, che non potavano pren­derci di sorpresa perché un uomo oltre l'ultima linea non poteva mal scattare a tempo, quindi inosservato. Come visto, è bastato agli azzurri bloccare le due punte e quindi Dzajic con Burgnlch e tutto il lavoro dl ri­fornimento jugoslavo che avevamo ammirato sabato, si è perso nella diga azzurra formatasi a centrocampo an­che con la collaborazione degli avversari.

In avanti Anastasi non è stato fermo un istante ed ha coperto chilometri e chilo­metri per andare da destra a sinistra e procurare var­chi al centro per Riva il qua­le ne approfittava con l'ar­dore agonistico che si cono­sce anche se non con la spe­rata bravura, in considerazione delle sue condizioni fi­siche non ancora perfette.

Nell'altra area sopraggiungeva a tratti anche Facchetti ed allora gli jugoslavi non sapevano più come rimediare. Almeno un'altra reta la avremmo meritata così dallo striminzito e insoddisfacente 1-1 di sabato siamo passati ad un autentico tiro a se­gno che in 48 ore molto è cambiato ed in bene. Ciò significa che si poteva cambiare una situazione che era stata inizialmente sbagliata.

Da una squadra eminente­mente difensiva siamo passa­ti spavaldamente ad una for­mazione di attacco, cioè ab­biamo pensato bene di toglie­re la iniziativa ad avversari che prima ci assediavano per 80 minuti su 90.

In questo momento di eu­foria non possiamo però di­menticare che giocavamo in casa, quindi avevamo tutti i favori di clima, di pubblico e di ambiente. Senza modifi­care nulla, cerchiamo adesso di giocare così anche in tra­sferta: sulle prime sarà dura, le difficoltà saranno maggio­ri ma si è visto che vale la pena di insistere solo se i no­stri tecnici avranno l'obiet­tività di mettere a confronto la partita dì stasera con quel­la di sabato scorso.

E di sabato scorso non par­liamone più.