La Gazzetta dello Sport

Il racconto della gara da La Gazzetta dello Sport del 28 giugno 2016 attraverso l’editoriale di Luigi Garlando e le pagelle di Sebastiano Vernazza

L’Editoriale di Luigi Garlando 

Siamo tutti Con…te. Ma non fermiamoci

Se non si chiamasse Germania, ci sarebbe proprio da mordersi le mani. Ma nulla, proprio nulla, esclude che questa operazione di stizza sia lecita lo stesso, con tutto il rispetto per il buon risultato e per la fama dei tedeschi che, oltretutto, giocavano a casa loro. Al diavolo le chiacchiere: la nostra nazionale è stata superiore in tutto, pur non avendo giocato di certo la sua migliore partita e pur avendo sofferto di una serata un po' sottotono del suo campione più bravo e celebrato, proprio lui, Gianluca Vialli.

Non sappiamo quali siano i giudizi sul livello della partita da parte di spettatori estranei. Per intensa che sia stata, bella non è apparsa di certo. Ma, al di là di ogni fattore estetico, il riepilogo mentale di quanto s’è visto, non concede dubbi, anzi è di una scarna e inequivoca linearità: il miglior gioco è stato il nostro e, nel bilancio delle vere occasioni, i tedeschi sono addirittura sovrastati. O meglio: non figurano affatto. Tanto brutta la Germania, o sono stati gli azzurri a renderla tale? Non è un’indagine da approfondire.

In realtà, smaltita ogni emotività per il risultato positivo, l’operazione “mordersi le mani” diventa necessaria e persino inevitabile. E sì, perché persino l’unico “vero” gol della partita, pur avviato da una sbandata dei tedeschi, è stato nostro. Donadoni ha compiuto un capolavoro e Mancini lo ha degnamente completato. Stava per crearsi a quel punto il clima di una delle nostre storiche serate, ma la fiscalità dell’arbitro nel punire una di quelle recitazioni un po' bulle e inutili di Zenga (che ha trattenuto a lungo la palla prima di rinviarla) ha spezzato quel momento che sapeva di piccola magia.

L’arbitro inglese Hackett non è perdonabile sia per questo eccesso un po' nevrotico, ma anche per tante altre valutazioni sballate. Quanto a Zenga, ho sentito parlare di peccato di inesperienza. Noi osiamo pensare che l’esperienza si possa fare anche senza commettere di queste sciocchezze. Fatto è che, senza quel “calcio a due” nell’area azzurra, i tedeschi la nostra porta non l’avrebbero mai vista.

Neanche questo piccolo “misfatto”, psicologicamente pericoloso, ha cambiato volto alla partita. Maldini, grandissimo dopo un incerto avvio, ci ha fatto gridare al gol. Ma era solo un’enorme occasione bruciata non si sa come da pochi passi.

Finito di morderci le mani, registriamo il messaggio che arriva da Düsseldorf. Questa giovane Italia non solo ha il diritto di esistere nell’élite d’Europa, ma persino quello di andare avanti.

E chi se la toglie più la maglia azzurra adesso? Portiamocela a letto, in ufficio, in spiaggia...Diventa una sofferenza separarci dal colore dell’orgoglio dopo la prestazione pazzesca della nostra Nazionale. Non abbiamo semplicemente battuto la Spagna, abbiamo fatto la Spagna: abbiamo costruito più di loro, tirato più di loro, abbiamo rivaleggiato nelle percentuali di possesso, eresia che solo a premeditarla ci catenavano contro Torquemada.

Ve la ricordate una sola espressione affannata di Chiellini o Barzagli, dopo una serie di respinte consecutive? No, perché non siamo mai stati veramente sotto assedio e la prima palpitazione da pericolo è arrivata solo al 70’. Merito della splendida banda di cacciatori che Conte ha scatenato verso l’area spagnola. Il trionfo non è il 2­0, è De Gea che alza lo sguardo e non sa a chi scaricare la palla perché la sua tana è circondata da azzurri. Non li abbiamo aspettati, li abbiamo rincorsi ovunque, come debitori  insolventi. Altro che catenaccio...Abbiamo preso il sacro tiqui taca e lo abbiamo sbriciolato come tapas. Il trionfo sono i nostri terzini sulla loro linea di fondo e Darmian che al 91’, invece di presidiare, è laggiù ad armare il raddoppio. Il trionfo sono i 7 tiri in porta che la Spagna non subiva all’Europeo dall’84: 32 anni. Altri hanno battuto la gloriosa Spagna di Del Bosque, nessuno lo ha fatto come noi, strappandogli il telecomando del gioco. Siamo stati più belli che «bastardi». Vedeva bene l’occhio fino di Xavi: l’Italia è un po’ Barça e un po’ Atletico. La squadra più cholista in campo ieri era la Spagna che ha randellato pure per fermarci. Se Buffon ci ha salvato la vita al 90’ su Piqué è solo per pio omaggio alla tradizione patria, perché da Zoff in poi (Sarrià ‘82), quando c’è in ballo la gloria il nostro numero uno deve sdraiarsi davanti alla linea di gesso allo scadere. Lo riconosciamo: abbiamo eliminato la mitica Spagna giunta al capolinea, stremata nel fisico e nelle voglie. Una spia: nessun difensore iberico ha avuto la fame per respingere il pallone che il famelico Chiello ha trasformato in gol. Ma se Iniesta e i suoi amici non hanno ricoperto il campo dei soliti raffinati triangolini è anche (soprattutto) perché la densità e l’aggressione teorizzate da Conte gliel’hanno impedito. Il capolavoro tattico anti-Belgio e quello anti­Spagna sono due tomi sulla cattedra della commissione che deve selezionare il miglior tecnico del pianeta: facile sia Antonio. Ha battuto la Spagna dopo 22 anni senza avere un Maldini in fascia, un Albertini in regia e un Baggio in attacco, come nel ‘94. Qui nessun Pallone d’Oro, solo piccoli grandi uomini di buona volontà. Ribadiamo: la cattedrale di bellezza che Conte ha edificato in un amen, senza stage, senza titolari importanti (Verratti, Marchisio), senza nobili ex (Pirlo), senza troppo talento in rosa, suona a suo merito e a condanna dei colleghi che con mesi di lavoro hanno prodotto molto meno.

Ora la Germania mondiale. Uscire ai quarti non sarebbe una vergogna. Questa è la prossima frontiera di Conte: convincere la truppa che lo sia, intercettare ogni sintomo di appagamento e ripresentare sabato una Nazionale dal cuore di Chiello. L’Italia intera vuole tornare a Saint-Denis il 10 luglio, giorno della finale, vestita di azzurro. E poi il calcio non è quel gioco inventato dagli inglesi in cui gli italiani battono sempre i tedeschi? Siamo ligi alla tradizione, ragazzi.

Le pagelle 

di Sabastiano Vernazza

Eder di corsa, Giaccherini guerriero

  • BUFFON 8 - Quando Piqué colpisce a botta sicura, si entra in una sospensione spaziotemporale, col vuoto nel cuore e sotto i piedi. E’ un attimo, ma dura quanto un giorno, finché la manona di San Gigi provvede e salva. Più che un voto qui ci vuole un «ex voto»
  • BARZAGLI 7- Forse a Barzagli gli spagnoli «tocchettanti» fanno lo stesso effetto di un gruppo di ricamatrici. Serve altro che Nolito o Silva per tirare fuori il guerriero che c’è in Barza. Giusto Ramos e Piqué sui calci piazzati gli fanno alzare il sopracciglio
  • BONUCCI 7,5 - Emerge a testa alta e con pallone al piede da mille incroci e intrighi. Limita il lancio, si scopre «passator cortese»: tocchi mirati, funzionali alla ripartenza palla a terra. (C)ostruttivo: ostruisce in chiusura, costruisce quando è in possesso.
  • CHIELLINI 8 - E’ ingiusto che l’Italia non sia già in vantaggio, così sembra che sulla respinta di De Gea lo «zampone» di Chiellini sia mosso dalla dea della Giustizia. Nel suo regno, la difesa, Giorgione deborda, svetta, anticipa. Miglior giocatore protagonista.
  • FLORENZI 7,5 - E’ il primo degli azzurri a entrare in partita, quello con la gamba che più freme e che subito gira. Fuoco non fatuo, a lungo fiammeggiante sulla destra. Come tanti si esaurisce sul finire, ma sarebbe disumano il contrario. Pronto per Rio 2016, ramo atletica.
  • PAROLO 7,5 - Gli tocca in sorte Iniesta, uno dei pochi spagnoli a non mostrare presunzione. Si avvicina col dovuto rispetto a Don Andrés, è consapevole della delicatezza del compito: non si può calpestare un Maestro. Lo cura con intelligenza, senza picchiare.
  • DE ROSSI 7 - Non solo schermo, con gli spagnoli riaccende il proiettore: difensore aggiunto se c’è da remare sul giropalla spagnolo, regista come si deve nei cambi di gioco. Costretto a uscire per una botta alla gamba, speriamo non salti la Germania. No, proprio no.
  • DE SCIGLIO 7,5 - Possibile che quel ragazzo sia lo stesso scomparso tra i flutti del Milan? E’ lui, è De Sciglio, terzino di radioso avvenire poi inghiottito da una selva oscura. Qui a Parigi si mostra spingente e respingente, mai «sudditante». De Sciglio al suo meglio.
  • GIACCHERINI 8 - I migliori sono tanti, ma scegliamo Giak, che si è battuto senza paura con i monumenti della mediana spagnola. Li ha inseguiti, pressati, attaccati. Poi non ne aveva più, ma è andato avanti lo stesso, oltre se stesso, oltre tutti noi. Esploratore.
  • PELLÉ 8 - Punto di smistamento: la palla alta e di prima per Pellé è lo schema studiato da Conte per uscire dal «soffoco» spagnolo. Il giochino riesce, Ramos e Piqué patiscono il pivot azzurro e forse si chiedono da dove salti fuori. Il gol sublima la serata.
  • EDER 7,5 - Fino allo sfinimento, fino all’ultimo respiro. Commovente per dedizione e sacrificio, e chi lo critica per aver tirato addosso a De Gea, nella ripartenza che lui stesso si costruisce, corra per punizione tanti chilometri quanti ne ha macinati lui per 82 minuti.
  • THIAGO MOTTA 6 - Non per accanimento o perché sia diventato un bersaglio facile: Motta peggiore per la manata a Vazquez che poteva costarci l’inferiorità numerica in minuti cruciali. Riconoscenza comunque per l’esperienza che mette sul piatto della partita.
  • INSIGNE 6,5 - La sostenibile leggerezza di Insigne. Un paio di volte si libra in volo planare, causa sportellate spagnole. Agli sgoccioli però, quando si sta in bilico su un crinale scivoloso, è bravissimo nel cambio di gioco che porta al 2-0 della liberazione.
  • DARMIAN 6,5 - Sostituzione che lascia perplessi, forse l’unico pelo nell’uovo della gestione contiana. Col rischio supplementari latente, ha senso giocarsi l’ultimo cambio con Darmian? Sì, ce l’ha: Florenzi non ce la fa più e Darmian sforna il cross per il 2-0

Il Commissario Tecnico

CONTE 9 - E’ la sua vittoria e il voto va esteso allo staff, a chi – col lavoro a Coverciano - ha messo tanta corsa nelle gambe di tutti. Italia a doppia velocità rispetto alla Spagna e tatticamente perfetta, mai schiava del possesso spagnolo e sempre con le giuste distanze.