Procedimento disciplinare sportivo - legittimazione a ricorrere - coincidenza tra il soggetto titolare del diritto fatto valere in giudizio e il soggetto legittimato ad agire in giudizio – necessità - ricorso proposto da società nell’interesse dei propri tesserati colpiti da sanzione - società ricorre anche a tutela di un interesse suo proprio – art. 49 CGS - interesse diretto da parte della società a non aver sanzionati i propri tesserati – sussistenza

In via generale il richiamo ai principi del giusto processo di cui all’art. 44, comma 1, del C.G.S consentono di considerare applicabili al processo sportivo anche i generali principi ricavabili dall’art. 81 CPC che, nel sancire che, al di fuori dei casi previsti dalla legge, nessuno può agire in giudizio per far valere in nome proprio un diritto altrui, stabilisce la necessaria coincidenza tra il soggetto titolare del diritto fatto valere in giudizio e il soggetto legittimato ad agire in giudizio per la tutela del diritto stesso. Inoltre, l’art. 47 del CGS rubricato “Diritto di agire innanzi agli organi di giustizia sportiva” ribadisce, in termini chiari, il principio dell’interesse ad agire per cui l’azione è esercitata soltanto dal titolare di una posizione rilevante per l’ordinamento federale che abbia subito una lesione o un pregiudizio (CFA Sezione I, n. 62/2019-2020). Pertanto dovrebbe essere considerato inammissibile un gravame proposto da una società nell’interesse dei propri tesserati colpiti da sanzione dell’inibizione o della squalifica. Ritenere diversamente – ossia ammettere la possibilità per la società di proporre ricorso o reclamo nell’interesse dei tesserati – significherebbe attribuire alla società medesima una sorta di potere generale di rappresentanza dei loro interessi di cui non v’è traccia nell’ordinamento sportivo. Il che fa salva la possibilità della società di agire in nome altrui (dei tesserati) attraverso un negozio posto in essere dai tesserati medesimi, con attribuzione autonoma e specifica del potere di rappresentanza; in tal modo utilizzando l’istituto della cd. rappresentanza processuale volontaria. Con l’ulteriore conseguenza che – secondo i noti principi – tale rappresentanza processuale opererà solo se il potere rappresentativo sia manifestato attraverso la contemplatio domini, ossia attraverso la dichiarazione del rappresentante di agire in giudizio in nome dei rappresentati. Sennonché occorre considerare che la società può proporre ricorso o reclamo anche nell’interesse dei propri tesserati colpiti da sanzione. In sostanza, la società ha agito in giudizio anche a tutela di un interesse suo proprio, direttamente conseguente alla società medesima dalla sanzione inflitta ai propri tesserati. Interesse che si distingue dall’interesse della società a chiedere l’annullamento della sanzione comminata direttamente nei propri confronti. Ai sensi dell’art. 49 (Ricorsi e reclami) del Codice vigente “1. Sono legittimati a proporre ricorso innanzi agli organi di giustizia di primo grado e reclamo innanzi agli organi di giustizia di secondo grado, le società e i soggetti che abbiano interesse diretto al ricorso o al reclamo stesso.”. Tale previsione reitera, quasi pedissequamente, quanto previsto nel Codice abrogato (art. 33, comma 1). La disposizione, con il sintagma “interesse diretto”, si riferisce alla lesione della sfera giuridica del ricorrente e all’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento della sanzione. Se così è c’è allora da chiedersi se la società abbia interesse diretto a non aver sanzionati i propri tesserati. Non c’è dubbio che la sanzione dell’inibizione o della squalifica del tesserato incide direttamente sulla società, sulla sua organizzazione, sulla sua attività sportiva. Ogni società ha interesse diretto che tutti i propri dirigenti svolgano la loro funzione nell’interesse dell’organizzazione della società e che tutti i calciatori per la stessa tesserati svolgano la loro funzione al fine del migliore risultato sportivo. Di tal che, a titolo di meri esempi, l’inibizione al Presidente comporta la perdita della rappresentanza in ambito federale e la squalifica di un calciatore, magari del migliore, comporta un indebolimento della capacità della squadra. Questa conclusione - valida per ogni settore e livello calcistico, atteso che la disposizione in esame non fa eccezioni - risulta ancor più evidente nel settore dilettantistico o in quello del settore giovanile, nei quali le ridotte capacità finanziarie o il numero limitato di calciatori rendono più evidente il danno che la società subisce dai provvedimenti sanzionatori inibitori che colpiscono i propri tesserati, con conseguente suo interesse diretto a chiederne la modificazione in ambito di giustizia sportiva. Da ultimo ma non per ultimo, le violazioni quali quelle di cui al presente procedimento comportano il deferimento e la sanzione della società quale conseguenza inevitabile della responsabilità dei propri tesserati, trattandosi di responsabilità diretta e/od oggettiva, come avvenuto nel caso di specie. Onde, appare quasi evidente l’interesse della società a contestare, iure proprio, in sede di giustizia sportiva, la responsabilità dei propri tesserati, potendo, quindi, agire con ricorso o reclamo. Né tale ordine di argomentazioni può essere messo in discussione dalla circostanza che dell’eventuale accoglimento del gravame potrebbero trarre beneficio anche i tesserati, e che pertanto la decisione produrrebbe effetti anche nella loro sfera giuridica. Tale conseguenza, difatti, costituirà un effetto riflesso della decisione impugnata – si ribadisce, iure proprio - dalla società. Ovviamente, permane in capo all’Organo di giustizia sportiva adito il potere di verifica dell’eventuale sussistenza di conflitto di interesse tra società e tesserato, che tuttavia risulta normalmente da escludere nei procedimenti, quale quello di specie, aventi ad oggetto le sanzioni dell’inibizione o della squalifica.    Conclusivamente, le Sezioni Unite della Corte federale d’appello enunciano il principio di diritto secondo cui, nella materia delle sanzioni dell’inibizione o della squalifica dei tesserati, una società ha un interesse diretto, ai sensi dell’art. 49, comma 1, del Codice di giustizia sportiva, a proporre ricorso o reclamo i cui effetti, ove favorevoli, si estenderanno ai tesserati interessati.

Stagione: 2019-2020

Numero: n. 85/CFA/2019-2020/A

Presidente: Torsello

Relatore: Sica

Riferimenti normativi: art. 49 CGS; art. 44, comma 1, CGS; art. 81 CPC; art. 47 CGS; art. 33, comma 1, CGS previgente

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1. Sono legittimati a proporre ricorso innanzi agli organi di giustizia di primo grado e reclamo innanzi agli organi di giustizia di secondo grado, le società e i soggetti che abbiano interesse diretto al ricorso o al reclamo stesso. Per i ricorsi o i reclami in ordine allo svolgimento di gare, sono titolari di interesse diretto soltanto le società e i loro tesserati che vi hanno partecipato.
2. Nei casi di illecito sportivo sono legittimati a proporre ricorso o reclamo anche i terzi portatori di interessi indiretti, purché connotati da concretezza e attualità, compreso l'interesse in classifica.
3. Sono, inoltre, legittimati a proporre ricorso o reclamo:
a) il Presidente federale, anche su segnalazione dei Presidenti delle Leghe, del Presidente dell’AIA e del Presidente delegato del Settore per l'attività giovanile e scolastica;
b) la Procura federale avverso le decisioni relative ai deferimenti dalla stessa disposti e negli altri casi previsti dal Codice.
4. I ricorsi e i reclami, sottoscritti dalle parti o dai loro procuratori, devono essere motivati nonché redatti in maniera chiara e sintetica. Sono trasmessi agli organi competenti con le modalità di cui all'art. 53. Copia della dichiarazione con la quale viene preannunciato il ricorso o il reclamo e copia del ricorso o del reclamo stesso, deve essere inviata contestualmente all’eventuale controparte con le medesime modalità. I ricorsi o reclami redatti senza motivazione e comunque in forma generica sono inammissibili.
5. La controparte ha diritto di trasmettere proprie controdeduzioni agli organi competenti, inviandone contestualmente copia al ricorrente o al reclamante con le modalità di cui all'art. 53.
6. La rinuncia o il ritiro del ricorso o del reclamo non ha effetto per i procedimenti di illecito sportivo, per quelli che riguardano la posizione irregolare dei calciatori e per i procedimenti introdotti su iniziativa di organi federali e operanti nell'ambito federale.
7. Le irregolarità formali relative alla sottoscrizione dei ricorsi o dei reclami nonché alla eventuale delega sono sanabili sino al momento del trattenimento in decisione degli stessi. Le irregolarità procedurali che rendono inammissibile il ricorso non possono essere sanate con il reclamo.
8. È diritto delle parti richiedere di essere ascoltate in tutti i procedimenti tranne in quelli innanzi ai Giudici sportivi.
9. Le parti possono farsi assistere da persona di loro fiducia. Le persone che ricoprono cariche federali o svolgono incarichi federali e gli arbitri effettivi non possono assistere le parti nei procedimenti che si svolgono innanzi agli organi di giustizia sportiva.
10. I ricorsi per i quali non sono indicati i termini possono essere proposti soltanto per questioni o controversie insorte nell'ambito dei termini di prescrizione di cui all'art. 40.
11. La parte non può essere rimessa in termini dal ricorso o dal reclamo ritualmente proposto da altre parti.
12. II Presidente federale, nel caso in cui particolari esigenze sportive e organizzative delle competizioni impongano una più sollecita conclusione dei procedimenti, ha facoltà di stabilire l'abbreviazione dei termini previsti dal Codice, dandone preventiva comunicazione agli organi di giustizia sportiva e alle parti.

1. Il processo sportivo attua i principi del diritto di difesa, della parità delle parti, del contraddittorio e gli altri principi del giusto processo.
2. I giudici e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo nell’interesse del regolare svolgimento delle competizioni sportive e dell’ordinato andamento dell’attività federale.
3. La decisione del giudice è motivata e pubblica.
4. Il giudice e le parti redigono i provvedimenti e gli atti in maniera chiara e sintetica. I vizi formali che non comportino la violazione dei principi di cui al presente articolo non costituiscono causa di invalidità dell’atto.
5. Tutte le sanzioni inflitte dagli organi di giustizia sportiva devono avere carattere di effettività e di afflittività.
6. Tutti i termini previsti dal Codice, salvo che non sia diversamente indicato dal Codice stesso, sono perentori.

1. I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti legittimati dall'ordinamento federale hanno diritto di agire innanzi agli organi di giustizia sportiva per la tutela dei diritti e degli interessi loro riconosciuti dall'ordinamento sportivo.
2. L'azione è esercitata soltanto dal titolare di una posizione soggettiva rilevante per l’ordinamento federale che abbia subito una lesione o un pregiudizio.

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